con
Salvatore Palombi
Giada Prandi
Costantino Cuciuc
Emma Pernarella
Camilla Abballe
Marco Divsic
Gianluca Scaccia
Emanuele Accapezzato
Claudio Samori
Roberto D’Erme
Simone Ciocca
Francesco Astro
Giorgia Spiriti
regia
Clemente Pernarella
scene
Fabiana Di Marco
costumi
Anna Coluccia
Musiche
Massimo Gentile
assistente alla regia
Costantino Cuciuc
Il Sogno di una notte di mezza estate può certamente essere inserito tra i capolavori comici di William Shakespeare. Capolavoro in cui il drammaturgo Shakespeare, mastro tessitore alla pari di Bottom, tra i personaggi centrali del testo, intreccia una varietà di fili che riprende da Chaucer, Spenser, Reginald Scott, Ovidio, Apuleio. Se straordinaria è la ricchezza delle fonti a cui attinge altrettanto lo è la libertà con cui intesse mitologia e folklore in una miscela nuova, originalissima, senza timore di anacronismi. Shakespeare fonde fonti classiche medievali e contemporanee, i modi del teatro popolare e le figure letterarie della tradizione alta , apprestando sapienti combinazioni di ingredienti per i palati più raffinati senza tuttavia negare il piacere della risata scostumata. E se consegna alla commedia un gusto classico in armonia con il setting ateniese, l’aggettivo “classico” è declinato alla maniera elisabettiana ovvero: il passato non è un museo di figure ricostituite, una per una, secondo la correttezza, la proprietà e le regole del restauro filologico, ma parte di una tradizione vivente che si contamina con altri sapori e sviluppa altri gusti per soddisfare nuovi palati. La potenza seduttiva del testo di questa commedia è tale da attirare il pubblico colto e non solo. Allo spettatore esperto tornerà in mente “l’Asino d’oro” di Apuleio, l’appassionato di teatro capterà nella commedia l’eco, la parodia di altre commedie o altri masques o pageants. Il provinciale appena arrivato a Londra, a quel tempo, che aveva partecipato alle feste paesane, avrebbe riconosciuto la relazione tra Bottom e quelle figure con testa di animale, numero rituale delle celebrazioni ancora per metà pagane che si tenevano in Inghilterra durante il mese di maggio, in piena estate. E’ proprio questa miscela di avventure romantiche, sentimentalismo patetico, fantasie erotiche capziose, burla sapida e inganni fiabeschi a solleticare il gusto del pubblico contemporaneo. Impasto peraltro particolarmente intonato al genio di Shakespeare. Forte è nella commedia la presenza del folklore. Ai tempi di Shakespeare la notte di mezza estate, tra il 23 e il 24 giugno, era una notte di baldoria, erano le notti bianche di allora, notti di amore in cui si celebrava il potere erotico della natura. In questa atmosfera di folklore e superstizione si colloca il sogno, nel calore dell’estate, nella esternazione di impulsi naturali disinibiti. Addirittura per Titania e Bottom l’amore si realizza nella metamorfosi di un contatto visionario, teriomorfo. Bottom, in particolare, volge il significato di sogno in senso teatrale: visione di una realtà superiore. Bottom conosce l’amore con Titania, riceve le sue carezze lascive, tra quelle carezze si addormenta. E’ un’esperienza vera la sua, in senso propriamente iniziatico. Bottom conosce le carezze della dea, come tutti gli iniziati non ne può parlare perché il rapporto con il divino è muto. L’amore è privo di occhi si dice, Bottom non è un filosofo platonico ma dice la stessa cosa: l’amore è cieco ma trasporta. Che la visione più rara sia affidata ad una testa d’asino è il paradosso centrale di questa commedia. L’altro paradosso è che il tramite all’elevazione verso le verità più alte sia proprio chi nel nome, “Bottom” appunto, si identifica con la parte che in ogni creatura è quella su cui si siede e cioè: il deretano. Perché “Bottom”, cioè “fondo”, è già usato nel senso di “culo” in epoca elisabettiana. Anche se accreditato più tardi già nella pronuncia tra arse (somaro) e ass (culo) si stabilisce una vicinanza paronomastica tra le due parole. Shakespeare gioca sempre con la lingua e sempre avvicina l’alto il basso il celestiale e il terrestre.
Certamente il potere della natura risulta centrale: nelle metamorfosi, nella figure di Oberon e Titania con la loro corte di elfi e fate, nel personaggio di Puck. L’idea di un allestimento site specific nel Giardino di Ninfa, uno dei siti naturalistici maggiormente suggestivi del nostro paese assume senso e significato particolare. Non solo il giardino si presta per via dell’impatto immediato che rimanda l’orto botanico ma soprattutto perché il giardino si sviluppa attorno ed all’interno delle rovine dell’antico borgo medievale, sulle rive della sorgente del lago di Ninfa che sostiene l’intero acquedotto provinciale. L’insediamento umano abbandonato al finire del 1300, ricoperto dalla vegetazione, era, già nel ‘700, descritto, dallo storico e viaggiatore tedesco Ferdinand Gregorovius, come ideale contraltare delle rovine di Pompei. Laddove però a Pompei i resti e le testimonianze del passato rimandano ad un sentimento rappacificante e vitalistico, a Ninfa invece forte si avverte il pulsare potente dell’elemento naturale con tutta la sua carica distruttrice. Uomo e natura, conoscibile e inconoscibile si affiancano concedendosi all’esperienza del visitatore. Il giardino in questo senso si presta come luogo ideale, cornice più che mai appropriata allo smarrimento, allo sconfinamento nel territorio del sogno. Viaggio inteso proprio in senso iniziatico: attraversamento di un territorio straniero in cui vigono regole diverse e lontane dalla razionalità, perdita e riappropriazione di identità nuova e nuove consapevolezze.
Il progetto nasce in collaborazione con la Fondazione Roffredo Caetani e con i Parchi Letterari Italiani, network nazionale di promozione del territorio. Lo sviluppo dell’operazione segue il criterio di produzione di attività culturali, nello specifico spettacolo dal vivo, come volano di sviluppo economico e crescita sociale, organizzando, secondo un sistema di buone pratiche, l’integrazione di due dei comparti, turistico e culturale, in un rapporto di proficua reciprocità.